Ricorso  per  la  Regione  Marche,  in persona del presidente pro
tempore  della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione
della  giunta  regionale n. 1495 del 4 novembre 2003, rappresentato e
difeso  dall'avv.  prof.  Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato
presso il suo studio in Roma, piazza Barberini n. 12, come da procura
speciale  per  atto del notaio dott.ssa Simonetta Sabatini di Ancona,
n. rep. 39063 del 10 novembre 2003;
    Contro  lo  Stato,  in  persona  del Presidente del Consiglio dei
ministri   pro   tempore,  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale  degli  artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95 e
dell'allegato  n. 13  del decreto legislativo 10 agosto 2003, n. 259,
recante  «Codice  delle  comunicazioni  elettroniche», pubblicato nel
supplemento  ordinario  n. 150  alla Gazzetta Ufficiale n. 214 del 15
settembre  2003,  per  violazione  degli  artt.  117, 118 e 119 della
Costituzione.
    1. - Oggetto del ricorso.
    1.1. - Il  1° agosto 2003 e' stato emanato il decreto legislativo
n. 259,  con  cui  il  Governo  ha  esercitato  la delega legislativa
contenuta  nell'art.  41  della  legge 1° agosto 2002, n. 166, per il
riassetto delle disposizioni vigenti conseguenti al recepimento delle
direttive comunitarie relative all'accesso alle reti di comunicazione
elettronica (direttiva 2002/19/CE), alle autorizzazioni per le reti e
i  servizi  di  comunicazione  elettronica (direttiva 2002/20/CE), al
quadro  normativo  comune  per  le reti ed i servizi di comunicazione
elettronica  (direttiva  2002/21/CE),  al  servizio  universale  e ai
diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione
elettronica (direttiva 2002/22/CE).
    Il titolo II del decreto legislativo in esame riguarda «le reti e
servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico». Il capo V reca
«disposizioni relative a reti ed impianti».
    Il  capo  V  riproduce  in  gran  parte  il contenuto del decreto
legislativo  n. 198/2002,  impugnato  dalla Regione Marche, di cui la
Corte  ha  dichiarato l'illegittimita' costituzionale con la sentenza
n. 303/2003 per eccesso di delega.
    Le  norme  del decreto legislativo qui impugnato, che riproducono
nella  sostanza  le disposizioni del decreto n. 198/2002, sono lesive
delle  competenze  costituzionalmente  attribuite alla Regione Marche
sia per gli stessi motivi gia' evidenziati nel suo precedente ricorso
assorbiti  nella  decisione  di  annullamento  di  cui  alla sentenza
n. 303/2003,   sia   per   gli  ulteriori  profili  che  vengono  qui
denunciati.
    1.2. - Con il presente ricorso, in particolare, la Regione Marche
contesta  la  legittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni
del decreto impugnato:
        l'art.  86  che  reca  disposizioni  sulle «infrastrutture di
comunicazione  elettronica e i diritti di passaggio» e prevede che le
autorita'  competenti alla gestione del suolo pubblico adottino senza
indugio  le  occorrenti decisioni e rispettino procedure trasparenti,
pubbliche  e non discriminatorie ai sensi dei successivi artt. 87, 88
e  89  nell'esaminare  le  domande  per la concessione del diritto di
installare  infrastrutture  (comma 1); la norma aggiunge che «sono in
ogni caso fatti salvi gli accordi stipulati fra gli enti locali e gli
operatori  per  quanto  attiene  alla  localizzazione, coubicazione e
condivisione   delle  infrastrutture  di  comunicazione  elettronica»
(comma  2);  il  comma  3  riproduce  l'art.  3, comma 3, del decreto
n. 198/2002  sull'assimilazione delle reti pubbliche di comunicazione
alle  opere  di  urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7,
del  d.P.R.  n. 380/2001; il comma 4, riproducendo l'art. 4, comma 3,
del  decreto n. 198/2002, precisa che restano ferme le disposizioni a
tutela   dei  beni  ambientali  e  culturali  contenute  nel  decreto
legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nonche' le disposizioni a tutela
delle  servitu'  militari di cui alla legge 24 dicembre 1976, n. 898;
il  comma  5  riguarda  la posa dei cavi sottomarini di comunicazione
elettronica  e  dei  relativi impianti, rinviando alla legge 5 maggio
1989,  n. 160  ed  al  codice  della  navigazione;  il comma 6 affida
all'Autorita'   il   compito   di   vigilare  affinche',  laddove  le
amministrazioni  dello Stato, le Regioni, le Province, i comuni o gli
altri  Enti locali mantengano la proprieta' o il controllo di imprese
che  forniscono  reti  o servizi di comunicazione elettronica, vi sia
un'effettiva  separazione  strutturale tra la funzione attinente alla
concessione  dei  diritti  di  cui al comma 1 e le funzioni attinenti
alla  proprieta' od al controllo; il comma 7 prevede che per i limiti
di  esposizione  ai  campi elettromagnetici, i valori di attenzione e
gli  obiettivi di qualita' si applicano le disposizioni di attuazione
di  cui all'art. 4, comma 2, lettera a) della legge 22 febbraio 2001,
n. 36; il comma 8 stabilisce che gli operatori di reti radiomobili di
comunicazione  elettronica  ad  uso pubblico provvedono ad inviare ai
comuni  ed  ai  competenti  ispettorati territoriali del Ministero la
descrizione  di ciascun impianto installato, sulla base dei modelli A
e  B  dell'allegato  13  al decreto e che i soggetti interessati alla
realizzazione  delle  opere  di cui agli artt. 88 e 89 trasmettono al
Ministero  copia  dei  modelli  C  e  D  dello  stesso allegato 13 al
decreto;  il  Ministero  puo'  a  sua volta delegare ad altro Ente la
tenuta   degli   archivi   telematici   di   tutte  le  comunicazioni
trasmessegli;
        l'art.    87   del   decreto   disciplina   i   «procedimenti
autorizzatori   relativi   alle   infrastrutture   di   comunicazione
elettronica  per  impianti  radioelettrici» e riproduce integralmente
l'art.  4,  comma  1, l'art. 5 e l'art. 6 del decreto n. 198/2002; si
tratta  delle  disposizioni  che  prevedono che l'installazione delle
infrastrutture  per  impianti  radioelettrici e le relative modifiche
siano autorizzate dagli enti locali, previo accertamento del rispetto
di  limiti  di  esposizione,  valori  di  attenzione  ed obiettivi di
qualita'  stabiliti uniformemente a livello nazionale (comma 1) e che
dettano  una  articolata  disciplina di dettaglio sui procedimenti di
autorizzazione  relativi alle infrastrutture di telecomunicazione per
impianti  radioelettrici, prevedendo - tra l'altro - sia una forma di
autorizzazione  sia  una  forma  di  denuncia di inizio di attivita',
addirittura  secondo  modelli predisposti e definiti nell'allegato 13
al   decreto   (commi   2-8)   sia  una  forma  di  silenzio  assenso
generalizzato  sulle  relative istanze (commi 9-10) in particolare si
prevede   che   ove  un'amministrazione  interessata  abbia  espresso
motivato  dissenso,  il  responsabile  del  procedimento  convoca una
conferenza  di servizi e, in quella sede, l'approvazione del progetto
a maggioranza dei presenti sostituisce gli atti di competenza di ogni
Amministrazione  e  vale  come  dichiarazione  di  pubblica utilita',
indifferibilita'  ed urgenza dei lavori; ove il dissenso sia espresso
da  un'Amministrazione  preposta  alla  tutela del vincolo ambientale
paesaggistico,  la determinazione finale e' devoluta al Consiglio dei
ministri;
        l'art.  88  del  decreto  riguarda le «Opere civili, scavi ed
occupazione  di  suolo  pubblico»  e recepisce integralmente l'art. 7
(commi  1-7  dell'art.  88)  e l'art. 9 (commi 8-12 dell'art. 88) del
decreto  n. 198/2002;  in  particolare  la norma ripete la disciplina
puntuale  delle  modalita'  -  tra  cui  una particolare procedura di
conferenza  di servizi - con le quali si possono autorizzare le opere
civili,  gli  scavi e l'occupazione di suolo pubblico funzionali alle
infrastrutture  di  comunicazione elettronica (commi 1-7), stabilisce
una  procedura speciale per l'autorizzazione delle ex «reti dorsali»,
fissando  anche  regole perche' «le figure giuridiche soggettive alle
quali  e'  affidata  la cura degli interessi pubblici», definiscano i
programmi   di   realizzazione   o   di   manutenzione   ordinaria  o
straordinaria  delle rispettive opere pubbliche, in modo da garantire
le esigenze di programmazione sia delle attivita' strumentali sia dei
programmi di installazione delle infrastrutture da parte dei titolari
di  autorizzazione  generale  (commi 8-12) vengono allegati i modelli
per l'istanza di autorizzazione (modelli C e D dell'allegato 13);
        l'art.   89   del   decreto  disciplina  la  «Coubicazione  e
condivisione  di infrastrutture» riproducendo integralmente, ai commi
3-5  l'art.  8  del  decreto n. 198/2002 sulle regole di condivisione
dello  scavo e di coubicazione dei cavi di comunicazione elettronica;
i  commi  1  e  2 stabiliscono invece che l'Autorita' per le garanzie
nelle  comunicazioni, anche mediante specifici regolamenti, mcoraggia
la   coubicazione   o   la   condivisione   delle  infrastrutture  di
comunicazione  elettronica  e, quando gli operatori non dispongono di
valide  alternative  a  causa  delle  esigenze  connesse  alla tutela
dell'ambiente,  della  salute  pubblica,  della  pubblica sicurezza o
della  realizzazione  di obiettivi di pianificazione urbana o rurale,
l'Autorita'  puo' richiedere ed eventualmente imporre la condivisione
di  strutture  o  proprieta',  compresa la coubicazione fisica, ad un
operatore  che  gestisce una rete di comunicazione elettronica e puo'
adottare  ulteriori  misure  volte  a facilitare il coordinamento dei
lavori,   dopo   un   adeguato  periodo  di  pubblica  consultazione,
stabilendo  altresi'  i  criteri  per la ripartizione dei costi della
condivisione delle strutture o della proprieta';
        l'art.  90  recante  «Pubblica  utilita'  -  Espropriazione»,
dispone  che gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso
pubblico,  ovvero  esercitati  dallo  Stato,  e  le  opere accessorie
occorrenti  per la funzionalita' di detti impianti hanno carattere di
pubblica  utilita'  ai  sensi  del  testo  unico sulle espropriazioni
(comma 1), quelli di uso esclusivamente privato possono invece essere
dichiarati  di  pubblica  utilita'  con  decreto  del  Ministro delle
comunicazioni  ove concorrano motivi di pubblico interesse (comma 2);
per  l'acquisizione  patrimoniale  dei  beni  immobili necessari alla
realizzazione  degli  impianti  si  prevede  che  possa  esperirsi la
procedura  di  esproprio  prevista  dal  testo  unico, dopo che siano
andati  falliti,  o non sia stato possibile effettuare i tentativi di
bonario componimento (comma 3);
        l'art.   91  recante  «Limitazioni  legali  della  proprieta»
prevede  disposizioni  per  facilitare  il  passaggio di fili o cavi,
l'appoggio  di  antenne, di sostegni, condutture o altri impianti, il
passaggio del personale esercente il servizio anche senza il consenso
del  proprietario senza che questi abbia diritto ad alcuna indennita'
(commi  1-5); il comma 6 riproduce l'art. 11 del decreto n. 198/2002,
disponendo  che  l'operatore  incaricato  del  servizio  possa  agire
direttamente  in  giudizio  per  far  cessare eventuali impedimenti e
turbative al passaggio ed alla installazione delle infrastrutture;
        l'art.   92   sotto  la  rubrica  «Servitu»,  detta  analoghe
disposizioni  in tema di imposizione di servitu' per il passaggio dei
fili,  cavi  e di impianti connessi alle opere in questione e devolve
la  giurisdizione  in  materia  al  giudice  amministrativo,  in  via
esclusiva;
        l'art. 93 recante «Divieto di imporre altri oneri» stabilisce
che le pubbliche amministrazioni, le Regioni, le Province ed i comuni
non  possono  imporre,  per  l'impianto di reti o per l'esercizio dei
servizi  di  comunicazione  elettronica, oneri o canoni che non siano
stabiliti per legge (comma 1) il comma 2 della norma riproduce l'art.
10   del   decreto  n. 198/02,  prevedendo  che  agli  operatori  che
forniscono  reti  di  comunicazione  elettronica  puo' essere posto a
carico  solo l'obbligo di tenere indenne l'ente locale, ovvero l'ente
proprietario,  dalle  spese  necessarie  per le opere di sistemazione
delle  aree  pubbliche  specificamente  coinvolte dagli interventi di
installazione  e  manutenzione  e  di ripristinare a regola d'arte le
medesime  nei  tempi stabiliti dall'ente locale, fatte salve le tasse
ed i canoni di occupazione;
        l'art.  94 relativo alla «Occupazione di sedi autostradali da
gestire in concessione e di proprieta' dei concessionari», disciplina
l'imposizione   di   servitu'   con   decreto   del   Ministro  delle
comunicazioni  per  la  realizzazione  e  la  manutenzione di reti di
comunicazione  elettronica  ad  uso pubblico, lungo il percorso delle
autostrade,    gestite   in   concessione   e   di   proprieta'   del
concessionario, all'interno delle reti di recinzione;
        l'art.  95  infine,  disciplina  la materia degli «Impianti e
condutture  di  energia  elettrica  -  Interferenze»,  prevedendo  la
necessita'   di   chiedere   all'Ispettorato   del   Ministero  delle
comunicazioni   il   nullaosta  sul  progetto  relativo  a  qualunque
costruzione,   modifica   o  spostamento  di  condutture  di  energia
elettrica  a  qualunque  uso  destinate  (commi  1-4)  o di qualunque
tubazione  metallica  sotterrata  a qualunque uso destinata (commi 5,
7);  in  caso  di  interferenze  si richiede l'osservanza delle norme
generali  per  gli  impianti  elettrici  del  Comitato elettrotecnico
italiano del Consiglio nazionale delle ricerche (comma 8) nei casi in
cui,  infine,  a  causa  di impianti di energia elettrica si abbia un
turbamento  del  servizio  di comunicazione elettronica, il Ministero
puo'  promuovere  lo spostamento degli impianti o altri provvedimenti
idonei con spese a carico di chi li rende necessari (comma 9).
    1.3. - Le  disposizioni  ora  ricordate  del  decreto legislativo
n. 259 del 1° agosto 2003 sono lesive:
        a)   della   competenza  legislativa  regionale,  cosi'  come
individuata  dal  combinato  disposto  dell'art.  117, commi secondo,
terzo e quarto, quinto della Costituzione;
        b)  della  competenza  regolamentare  regionale,  cosi'  come
individuata dall'art. 117, comma sesto, della Costituzione;
        c)  della  competenza  amministrativa  regionale,  cosi' come
individuata dall'art. 118, commi primo e secondo, della Costituzione;
        d)   dell'autonomia   finanziaria   regionale,   cosi'   come
individuata dall'art. 119 della Costituzione.
    Illegittimita'  degli  artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e
95 del d.lgs. n. 259/2003 per violazione della competenza legislativa
regionale  ai  sensi  dell'art.  117,  commi secondo, terzo e quarto,
quinto della Costituzione.
    2. - Le norme del decreto impugnato, come gia' quelle del decreto
n. 198/02  di  cui  costituiscono in parte la reiterazione, investono
senza    dubbio   una   materia,   riguardante   l'installazione   di
infrastrutture   di  comunicazione  elettronica,  che  rientra  nella
competenza  legislativa  concorrente,  ai  sensi dell'art. 117, terzo
comma,  nonche'  nella  competenza  legislativa «residuale», ai sensi
dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione.
    Infatti,    la    disciplina   impugnata   investe   le   materie
dell'«ordinamento  della  comunicazione»  (per  quanto  attiene  alla
natura  degli  impianti),  del  «governo  del territorio» (per quanto
attiene  alla  localizzazione  degli  impianti  e delle opere), della
«tutela  della salute» (per i numerosi aspetti connessi all'esercizio
degli   impianti)   della   «produzione,   del   trasporto   e  della
distribuzione  nazionale  dell'energia» (art. 117, terzo comma, della
Costituzione).
    La  disciplina  appare  per vari aspetti riconducibile anche alle
competenze  residuali  delle  Regioni per le materie dell'urbanistica
dell'edilizia,  dei  lavori pubblici, dell'industria e del commercio,
non  espressamente menzionate nei commi secondo e terzo dell'art. 117
e  quindi comprese in tale competenza ai sensi del comma quarto dello
stesso art. 117 della Costituzione.
    2.1. - La disciplina del decreto impugnato si pone chiaramente in
contrasto, in primo luogo, con il ruolo specificamente riservato allo
Stato   nella   legislazione   concorrente;   ruolo   che   la  norma
costituzionale  limita  alla determinazione dei principi fondamentali
della  materia  e,  dunque,  solo  agli  aspetti relativi al «modo di
esercizio  della  potesta'  legislativa regionale», senza «comportare
l'inclusione  o  l'esclusione  di  singoli  settori  dalla  materia o
dall'ambito  di  essa».  Piu'  precisamente,  si  devono  ritenere  e
qualificare  «principi  fondamentali»  -  anche  con riferimento alla
nuova  formulazione dell'art. 117 della Costituzione - «solo i nuclei
essenziali  del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono
per  i  principi  enunciati o da esse desumibili» (Corte cost., sent.
n. 482 del 1985).
    E' certo che i principi fondamentali stabiliti dalle leggi-quadro
nazionali  debbano avere un «livello di maggior astrattezza» rispetto
alle  regole positivamente stabilite dal legislatore regionale (Corte
cost.,  sent.  n. 65 del 2001) e debbono comunque lasciare ampi spazi
decisionali  agli  organi  rappresentativi della comunita' regionale,
nelle   materie  affidate  costituzionalmente  alla  loro  competenza
concorrente.
    Anche  ad  ammettere  che  lo  Stato  abbia  il potere di emanare
discipline  autoapplicative  o di dettaglio nelle materie di potesta'
legislativa   concorrente,   si  deve  ricordare  che,  per  costante
giurisprudenza di questa Corte, tale potere si puo' estrinsecare solo
attraverso  norme  a  carattere cedevole rispetto agli interventi del
legislatore regionale.
    I  principi fondamentali dovrebbero inoltre essere indirizzati in
primo  luogo  al  legislatore  regionale  in  modo  che ne possa dare
attuazione mediante la legislazione di dettaglio.
    Questi   limiti   costituzionali,   previsti   per   l'intervento
legislativo  statale in materie di competenza concorrente, sono stati
del tutto violati con l'approvazione del decreto qui impugnato.
    Le  norme  del  decreto  sopra  ricordate,  infatti,  recano  una
disciplina  dettagliata,  autoapplicativa, non cedevole, direttamente
operante  nei  confronti  dei  privati,  che non lascia alcuno spazio
all'intervento legislativo regionale.
    Le  Regioni  vengono  cosi' private del loro spazio di intervento
costituzionalmente  garantito nella materia disciplinata dal decreto,
sacrificando  in  maniera  del  tutto illegittima ed incoerente, quel
contenuto  minimo  dell'autonomia  legislativa  regionale  che, nelle
materie  attribuite  alla  competenza  legislativa  concorrente delle
Regioni,  il  legislatore  statale  non  puo'  viceversa comprimere o
eliminare.
    2.2.  -  La  legge  quadro  n. 36  del  2001  aveva correttamente
previsto   la   competenza  legislativa  regionale  nel  definire  le
modalita'  per  il  rilascio  delle  autorizzazioni all'installazione
degli impianti, anche nell'ambito delle previgenti norme del Titolo V
della seconda parte della Costituzione. E' evidente come l'esclusione
della  competenza  regionale  sia del tutto ingiustificata nel vigore
del  nuovo  art. 117 della Costituzione, che fra l'altro assegna alle
Regioni  la  competenza  concorrente in materia di «ordinamento della
comunicazione».
    L'assorbimento  di  ogni  competenza regionale, nella definizione
delle  procedure  autorizzatorie  da  parte  dello  Stato,  assume il
carattere di una vera e propria imposizione di scelte urbanistiche ed
edilizie,  oltre  che di scelte aventi specifica attinenza al settore
della  comunicazione,  in  nessun  modo filtrate da intese o forme di
coordinamento   con  le  Regioni  o  gli  enti  locali,  in  sede  di
localizzazione  e  definizione della disciplina urbanistica di queste
installazioni.
    La   competenza   disegnata   dalla  legge  n. 36/2001  e'  stata
esercitata  dalla  Regione  ricorrente  con  la  legge  regionale  13
novembre 2001, n. 25.
    Tale  competenza  e' stata confermata anche da questa Corte nella
recente sentenza n. 307/2003, resa proprio sulla legittimita' di tale
legge  regionale,  in  cui  viene riconosciuto il ruolo della Regione
nella   disciplina   dell'uso   del   territorio  in  funzione  della
localizzazione   degli  impianti,  cioe'  delle  ulteriori  misure  e
prescrizioni  dirette  a ridurre il piu' possibile l'impatto negativo
degli  impianti  sul territorio. In particolare e' stata riconosciuta
la   legittimita'  delle  norme  regionali  relative  ai  criteri  di
localizzazione,   agli  standard  urbanistici,  alle  prescrizioni  e
incentivazioni  all'utilizzo  della migliore tecnologia disponibile e
alla  cura dell'interesse regionale e locale all'uso piu' congruo del
territorio,  sia  pure  nel  quadro  dei  vincoli  che derivano dalla
pianificazione nazionale delle reti e dei relativi parametri tecnici,
nonche' dai valori soglia stabiliti dallo Stato (in termini analoghi,
anche la recente pronuncia n. 311 del 7 novembre 2003).
    Ancor  piu'  esplicitamente, nella sentenza n. 324 del 29 ottobre
2003,   questa   Corte  ha  chiarito  che  «gia'  nella  legislazione
precedente  la  riforma  del  Titolo  V  della  seconda  parte  della
Costituzione,  risultava  espressamente  riconosciuto  un  ruolo, per
quanto  limitato,  delle  Regioni  in tema di localizzazione dei siti
degli  impianti  di  comunicazione.  Tale  ruolo  e'  oggi ancor piu'
innegabile   sulla   base  dell'art.  117  della  Costituzione,  come
modificato  dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che prevede fra
le  materie di legislazione concorrente, non soltanto il «governo del
territorio» e la «tutela della salute», ma anche l'«ordinamento della
comunicazione».
    Conseguentemente,  non puo' escludersi una competenza della legge
regionale  in  materia,  che  si  rivolga  alla  disciplina di quegli
aspetti   della   localizzazione  e  dell'attribuzione  dei  siti  di
trasmissione  che  esulino da cio' che risponde propriamente a quelle
esigenze  unitarie  alla  cui  tutela  sono preordinate le competenze
legislative  dello  Stato  nonche' le funzioni affidate all'Autorita'
per le garanzie nelle comunicazioni».
    L'eliminazione  di  tale  competenza  regionale  ad  opera  della
disciplina   di  dettaglio  e  non  cedevole  contenuta  nel  decreto
impugnato,  che  vanifica  del  tutto la legge adottata dalla Regione
ricorrente,  appare dunque in contrasto con la ratio e la lettera del
nuovo  titolo V della Costituzione e si pone in diretto conflitto con
l'interpretazione datane da questa Corte.
    2.3.  -  A  ben  vedere  le norme del decreto impugnato investono
anche  materie  di  competenza  residuale come quelle dell'edilizia e
dell'urbanistica.
    L'edilizia  e  l'urbanistica,  in  quanto  materie non menzionate
negli  elenchi  di  cui  al secondo e terzo comma dell'art. 117 della
Costituzione,  sono materie autonome e, in quanto tali, rientrano tra
le  materie  a  competenza  legislativa  regionale residuale, a norma
dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione.
    E'  quanto si puo' desumere dagli stessi lavori preparatori della
legge  costituzionale  n. 3  del  2001,  dal  cui  esame si evince la
volonta'  di  considerare  l'urbanistica  e  l'edilizia  come materie
soggette a riserva di legislazione regionale.
    Nell'intenzione  del  revisore  della  Costituzione era chiara la
volonta'   di   attribuire  alle  Regioni  un  campo  piu'  ampio  di
competenze:  sarebbe stato singolare escludere tale ampliamento in un
settore  che  piu'  di  ogni  altro  gia'  era  stato  affidato  alla
competenza  legislativa regionale. L'edilizia, infatti, ricomprende i
rapporti  che  si instaurano tra la pubblica amministrazione e quanti
intendano realizzare lavori od opere che trasformino il territorio ed
e'  stata fin qui disciplinata dalle Regioni in quanto compresa nelle
competenze  in  materia  urbanistica  e  di  tutela  della salute. La
materia  edilizia  si  riferisce  alla  sola  definizione  dei titoli
abilitativi  ad eseguire le opere e alla disciplina della vigilanza e
repressione   degli   abusi   edilizi,  in  relazione  all'assenza  o
insufficienza  del  titolo  richiesto. La verifica ed il rilascio dei
titoli abilitativi restano distinti nel sistema normativo (come prova
la  stessa  recente  redazione  del  testo  unico  della legislazione
edilizia  -  d.lgs.  n. 380 del 6 giugno 2001 - che disciplina, nella
sua  prima  parte,  i  titoli  abilitativi e le sanzioni e, nella sua
seconda  parte,  le  normative  tecniche  per  l'edificazione)  dalla
disciplina urbanistica (che regola gli strumenti di pianificazione) e
dal governo del territorio (che regola le istituzioni e gli strumenti
di  coordinamento  ed  impulso  delle  attivita'  che  incidono sulla
politica e sull'assetto del territorio).
    Anche  la  materia  dell'urbanistica  si  distingue dalla materia
«governo  del  territorio»,  in quanto disciplina dei centri abitati,
demandata  alla  legislazione  esclusiva  regionale,  con  il  limite
rappresentato dalle funzioni fondamentali attribuite agli enti locali
direttamente  dalla  legge  dello  Stato,  laddove  il  «governo  del
territorio»   spetta  alla  legislazione  concorrente,  con  principi
fondamentali dettati dallo Stato e con norme emanate dalle Regioni.
    2.4. - La  palese  violazione  dell'assetto  costituzionale delle
competenze  legislative  dello Stato e delle Regioni risulta evidente
anche  nell'ipotesi  in cui si volesse ritenere che, sulla base ed in
forza   dell'art.   118,   comma  I,  della  Costituzione,  si  possa
riconoscere  allo Stato una competenza legislativa ulteriore rispetto
ai   titoli   di   legittimazione   ricavabili  dall'art.  117  della
Costituzione,  muovendo  dalla necessita', in concreto, di attribuire
allo   Stato   determinate  funzioni  amministrative,  in  base  alla
sussistenza  di esigenze di «esercizio unitario», secondo «i principi
di  sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza» e di riconoscere
a  tal  fine  una  competenza  legislativa  statale ad hoc - anche in
materie  di  legislazione  regionale  -  destinata  ad  allocare tali
funzioni   e   a   disciplinarne   inevitabilmente  le  modalita'  di
organizzazione e di esercizio.
    Anche  in  tale  prospettiva, in cui appare muoversi la pronuncia
n. 303/2003, peraltro, si devono rispettare almeno due condizioni:
        a)  che  risultino  motivate  espressamente e puntualmente le
specifiche    esigenze   di   esercizio   unitario   delle   funzioni
amministrative  in  grado  di  giustificarne l'attrazione nella sfera
statale,    in    conformita'    ai   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza;
        b)   che  sia  rispettato  un  procedimento  di  «codecisione
paritaria»  con  le Regioni, in considerazione dell'incidenza diretta
dell'intervento  normativo  statale  su  ambiti materiali formalmente
spettanti  al  legislatore regionale. La necessita' di rispettare una
simile  condizione  trova  conferma  nel  meccanismo previsto, per le
leggi  del  Parlamento, dall'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001,
nel quale si prevede che la Commissione parlamentare per le questioni
regionali,   integrata   con   i   rappresentanti   delle   autonomie
territoriali,   debba   sempre  esprimere  un  parere,  ad  efficacia
rinforzata,  su  tutti  i progetti di legge riguardanti le materie di
legislazione  concorrente  e  l'autonomia finanziaria delle Regioni e
degli enti locali.
    Nella  sentenza  n. 303/2003 questa Corte ha infatti ritenuto che
«una  volta  stabilito  che,  nelle  materie  di  competenza  statale
esclusiva  o  concorrente, in virtu' dell'art. 118, comma 1, la legge
puo'  attribuire  allo  Stato  funzioni amministrative e riconosciuto
che,  in  ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, essa e'
anche  abilitata  a  organizzarle  e  regolarle,  al fine di renderne
l'esercizio  permanentemente  raffrontabile  a  un  parametro legale,
resta  da  chiarire che i principi di sussidiarieta' e di adeguatezza
convivono  con il normale riparto di competenze legislative contenuto
nel   Titolo  V  e  possono  giustificarne  una  deroga  solo  se  la
valutazione  dell'interesse  pubblico  sottostante  all'assunzione di
funzioni  regionali  da  parte  dello  Stato  sia  proporzionata, non
risulti  affetta  da  irragionevolezza  alla stregua di uno scrutinio
stretto  di  costituzionalita', e sia oggetto di un accordo stipulato
con  la  Regione  interessata. Che dal congiunto disposto degli artt.
117 e 118, primo comma, sia desumibile anche il principio dell'intesa
consegue  alla peculiare funzione attribuita alla sussidiarieta', che
si  discosta in parte da quella gia' conosciuta nel nostro diritto di
fonte legale» (punto 2.2. del Considerato in diritto).
    Le   disposizioni  del  decreto  impugnato  non  rispettano  tali
rigorosi  parametri. Manca in particolare l'elemento essenziale della
previa  intesa  con le Regioni, oltre che qualunque indicazione sulla
giustificazione  dell'attrazione  delle  funzioni amministrative allo
Stato.
    2.5. - Infine  va  ravvisata anche la violazione del quinto comma
dell'articolo  117  della Costituzione, che attribuisce alle Regioni,
nelle   materie   di   loro  competenza,  il  compito  di  provvedere
all'attuazione e all'esecuzione degli atti dell'Unione europea.
    Nel  caso  di  specie  il  decreto  impugnato investe, come si e'
detto,  materie  di  competenza  concorrente ed anche residuale delle
Regioni  e  quindi  spetta alle stesse dare attuazione alle direttive
comunitarie ivi indicate.
    3. - Tutte  le  disposizioni  indicate nell'epigrafe del presente
motivo  sono  da  considerare  costituzionalmente  illegittime per le
ragioni esposte nei precedenti paragrafi.
    3.1. - In particolare, con riferimento alle singole disposizioni,
si  puo'  sottolineare  l'illegittimita' dell'art. 86 del decreto che
sotto  nessun  profilo puo' ritenersi normativa di principio, dato il
suo  carattere estremamente dettagliato, che non lascia alcuno spazio
alla competenza concorrente della legislazione regionale.
    In particolare l'assimilazione delle infrastrutture alle opere di
urbanizzazione  primaria  (art.  86, comma 3), anche se di proprieta'
privata  degli  operatori,  costituisce  esercizio  della  competenza
legislativa   in   materia  di  governo  del  territorio  (competenza
concorrente,  ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.); nonche' in
materia  urbanistica e di edilizia (di competenza residuale, ai sensi
dell'art.  117,  quarto comma, Cost.), mediante l'introduzione di una
classificazione  che  incide in termini stringenti sulle possibilita'
delle  Regioni,  di  definire  la  disciplina  di  queste particolari
infrastrutture.
    Allo  stesso  modo  la previsione dell'applicazione dei limiti di
esposizione  ai  campi  elettromagnetici,  dei valori di attenzione e
degli  obiettivi  di  qualita' di cui all'art. 4, comma 2, lettera a)
della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (art. 86, comma 7), sacrifica del
tutto   il   ruolo  delle  Regioni  «nella  disciplina  dell'uso  del
territorio  in  funzione  della  localizzazione degli impianti, cioe'
delle  ulteriori  misure  e  prescrizioni  dirette  a ridurre il piu'
possibile l'impatto negativo degli impianti sul territorio» (sentenza
n. 307/2003).  In  tal  modo  infatti  si sopprimono gli obiettivi di
qualita',  consistenti  in  criteri  di localizzazione dei siti degli
impianti  di comunicazione, che rientrano certamente nella competenza
della   legge   regionale,   in  quanto  riconducibile  alle  materie
concorrenti   del  «governo  del  territorio»,  della  «tutela  della
salute»,    dell'«ordinamento    della    comunicazione»    (sentenza
n. 324/2003).
    La   norma   quindi  vanifica  la  competenza  costituzionalmente
garantita al legislatore regionale nelle materie ora ricordate.
    3.2.   -   L'art.  87  del  decreto  disciplina  il  procedimento
autorizzatorio per l'installazione e la modifica delle infrastrutture
in oggetto attribuendo tale competenza direttamente agli enti locali.
    Si  tratta  di  una disciplina di dettaglio, autoapplicativa, non
cedevole  che  investe da un lato competenze residuali delle Regioni,
come  quelle  dell'urbanistica e dell'edilizia, dall'altro certamente
competenze  concorrenti  come  quelle  del  governo  del  territorio,
dell'ordinamento della comumcazione e della tutela della salute.
    In  particolare  e'  illegittima  la  previsione  secondo  cui  i
progetti  presentati  devono  essere  compatibili  con  i  limiti  di
esposizione,  i  valori  di  attenzione,  gli  obiettivi  di qualita'
«stabiliti uniformemente a livello nazionale» (art. 87, comma 1).
    In  proposito  si  possono  ripetere  le considerazioni svolte al
precedente  paragrafo  con  riferimento  all'art.  86,  comma  7.  La
violazione  delle  competenze  regionali in materia di determinazione
dei  criteri  localizzativi  degli impianti, competenze confermate da
questa  Corte  nelle  pronunce  sopra  ricordate,  e'  qui ancor piu'
evidente.  La norma infatti esclude in modo esplicito qualunque ruolo
regionale  nella determinazione degli obiettivi di qualita', che gia'
la  legge  quadro n. 36/2001 riconosceva prima dell'entrata in vigore
del titolo V della Costituzione.
    La  soppressione  di qualunque intervento regionale in materia e'
dunque evidente e si pone in diretto contrasto con quanto statuito da
questa  Corte,  secondo  la quale «non puo' escludersi una competenza
della  legge  regionale in materia, che si rivolga alla disciplina di
quegli  aspetti  della localizzazione e dell'attribuzione dei siti di
trasmissione  che  esulino da cio' che risponde propriamente a quelle
esigenze  unitarie  alla  cui  tutela  sono preordinate le competenze
legislative  dello  Stato  nonche' le funzioni affidate all'Autorita'
per le garanzie nelle comunicazioni» (sentenza n. 324/03).
    Illegittima e' anche la previsione contenuta nei successivi commi
dell'art.  87 (commi 2-8) che disciplinano un procedimento unitario e
dettagliato per l'autorizzazione degli impianti, determinando anche i
tempi di formazione degli atti e della volonta' delle amministrazioni
coinvolte senza lasciare alcuno spazio alla legislazione regionale.
    La realizzazione degli impianti oggetto del decreto tocca in modo
evidente   gli   interessi   pubblici   connessi  con  le  competenze
legislative    sopra   richiamate.   Competenze   che   non   possono
ragionevolmente  essere  travolte dalla previsione di un procedimento
unitario  tale  da  sopprimere qualunque diversa specifica disciplina
che  in  ciascuna  Regione  ed  in  ciascun  territorio provinciale e
comunale  deve  poter  essere adottata per governare correttamente lo
sviluppo  edilizio  e i valori paesistici ed ambientali. E', infatti,
di ogni evidenza come non soltanto vi sia un preciso compito affidato
alle    autonomie    regionali,   nell'ambito   del   settore   della
comunicazione,  che  lo Stato non puo' invadere in termini arbitrari;
ma  vi  sono  anche  situazioni  urbanistiche  ed edilizie, in cui le
infrastrutture  di  telecomunicazioni  si vanno ad inserire, che sono
ampiamente  differenziate,  in  un  territorio  nazionale,  quale  il
nostro, ricco di valori paesistici e di differenziate caratteristiche
fisiche  e  morfologiche,  che fanno del paesaggio e della tutela del
territorio  cosi'  multiforme  uno  dei  valori  fondanti  il  nostro
ordinamento  (art. 9, anche in correlazione con gli artt. 41, 42 e 44
della Costituzione).
    La disciplina unitaria e assorbente dettata dal decreto impugnato
si  pone  in  netta contraddizione con tali valori nel momento in cui
impedisce  una  corretta valutazione, per necessita' differenziata ed
adeguata  alle  singole  realta'  locali,  da parte dei legislatori e
delle amministrazioni regionali.
    La  specificita'  della  disciplina  adottata,  che  detta regole
puntuali   in   tema   di   semplificazione   del   procedimento   di
autorizzazione,  nonche'  tempi prefissati di formazione degli atti e
di manifestazione della volonta' delle amministrazioni coinvolte (ivi
comprese  quelle  locali), contemplando - tra l'altro - sia una forma
di  autorizzazione  sia una forma di denuncia di inizio di attivita',
secondo  modelli  predisposti  e  definiti  in  allegato  al decreto,
implica  una  sicura  lesione delle competenze legislative regionali,
entrando   nel   dettaglio   (e   con   regole   che   si  presentano
strutturalmente  -  per  natura e finalita' - come non derogabili dal
legislatore  regionale) in un settore che sicuramente rientra, quanto
meno, nella competenza regionale concorrente.
    Piu'    specificamente,    particolarmente   lesiva   appare   la
regolamentazione della Conferenza di servizi (art. 87, commi 6, 7, 8)
in  cui  la  previsione  dell'approvazione dei progetti a maggioranza
degli enti intervenuti puo' comportare il sacrificio (anche sul piano
amministrativo)  del  ruolo  della  Regione.  Inoltre  la  previsione
dell'attribuzione  al Consiglio dei ministri della relativa decisione
in  caso  di dissenso qualificato, annulla qualsiasi ruolo anche solo
amministrativo  delle  Regioni  in  materie  riconducibili  alla loro
competenza concorrente e anche residuale.
    La  previsione del silenzio assenso con l'indicazione del termine
entro  cui esso si forma (art. 87, comma 9) costituisce anch'essa una
violazione  delle  competenze legislative regionali, in quanto non si
lascia  alcuno  spazio  per  definire,  pur  nel  quadro dei principi
stabiliti,   termini   diversi,   altre   forme   di  semplificazione
amministrativa,  modalita'  di  contemperamento,  delle  esigenze  di
celerita' e di certezza nel rilascio del provvedimento amministrativo
(imposte  anche  dalle  direttive comunitarie), con la valorizzazione
dell'ambiente  e  delle  bellezze naturali, la tutela della salute, e
piu'  in  generale il governo del territorio, rimessi alla competenza
delle Regioni.
    Le disposizioni impugnate nel presente ricorso appaiono, inoltre,
riconducibili  alle  materie,  di competenza residuale delle Regioni,
dell'urbanistica  e  soprattutto  dell'edilizia  (cfr.  parag. 2.3) e
dunque,  al  di la' del loro carattere di disposizioni di principio o
di dettaglio, sono in radice illegittime per invasione della sfera di
competenza riservata alle Regioni.
    Si  puo'  ritenere  che  la  disciplina  del  rilascio dei titoli
abilitativi  ad eseguire le opere per la realizzazione degli impianti
in oggetto, contenuta nelle norme ora ricordate, attenga alla materia
dell'edilizia  e  dunque  esuli  anche dal novero delle competenze di
legislazione  concorrente  in  cui  lo  Stato  mantiene  il potere di
adottare solo una disciplina di principio.
    3.3. - Le  stesse  considerazioni  valgono  per  gli  artt.  88 e
seguenti  del decreto che disciplinano procedure dettagliate puntuali
per  la  realizzazione di opere civili, scavi ed occupazione di suolo
pubblico   finalizzati   alla   realizzazione   degli   impianti   di
comunicazione.
    L'art.  88  disciplina  un procedimento analogo a quello previsto
dall'art.  87,  con  la  previsione della conferenza di servizi e del
silenzio   assenso,   fissa  le  regole  perche'  gli  enti  pubblici
definiscano  i programmi di realizzazione o di manutenzione ordinaria
e straordinaria delle rispettive opere pubbliche in modo da garantire
le   esigenze   di   programmazione   da   parte   dei   titolari  di
autorizzazione,    nell'ambito   di   una   disciplina   estremamente
dettagliata che non lascia alcuno spazio alla legislazione regionale.
    Si  ripropongono  quindi  le  medesime  censure  evidenziate  con
riferimento all'articolo 87 al paragraf precedente.
    3.4. - L'articolo  89 stabilisce regole per la condivisione delle
infrastrutture  e  la  coubicazione  dei  cavi,  anche  qui  con  una
disciplina  di dettaglio che investe materie di competenza quantomeno
concorrente,  se  non  residuale  e  quindi  in  violazione del ruolo
legislativo riservato dall'articolo 117 alle Regioni.
    3.5. - Gli   articoli   90,  91,  92  e  94  fissano  regole  per
l'acquisizione  dei  beni immobili necessari alla realizzazione degli
impianti  (art. 90), per la limitazione legale della proprieta' (art.
91) e l'imposizione di servitu' (art. 92 e 94).
    Si  tratta  di  disposizioni che investono le materie del governo
del  territorio,  dell'ordinamento della comunicazione e della tutela
della  salute  di  competenza concorrente e dunque violano l'articolo
117  Cost.,  nella  misura  in  cui  stabiliscono  una  disciplina di
dettaglio e autoapplicativa, non cedevole che esclude qualunque ruolo
delle Regioni.
    Tali  disposizioni  appaiono  inoltre  investire  le  materie, di
competenza  regionale  residuale,  dell'edilizia e dell'urbanistica e
dunque  sono  del  tutto  illegittime  in  quanto  al  di fuori della
competenza attribuita dalla Costituzione allo Stato.
    3.6. - Nella stessa censura non puo' non essere incluso l'art. 93
del  decreto  legislativo impugnato, secondo cui, agli operatori puo'
essere posto a carico solo l'obbligo di tenere indenne l'ente locale,
ovvero  l'ente  proprietario,  dalle spese necessarie per le opere di
sistemazione  delle  aree  pubbliche  specificamente  coinvolte dagli
interventi  di  installazione  e  manutenzione,  e  solo l'obbligo di
ripristinare   a  regola  d'arte  le  medesime  nei  tempi  stabiliti
dall'ente locale, fatte salve le tasse ed i canoni di concessione.
    Anche  questa  norma  si  ingerisce  in  termini  indebiti  nelle
competenze legislative regionali sopra richiamate, perche' stabilisce
in  termini  uniformi  la  disciplina  relativa ad infrastrutture che
debbono,  invece,  essere  realizzate  tenendo  conto dello specifico
contesto territoriale e normativo dettato da ciascuna regione.
    3.7.  -  L'art. 95, fissa regole per gli impianti e le condutture
di  energia  e  elettrica  e  disciplina  le  interferenze,  con  una
disciplina  di dettaglio e anche qui autoapplicativa non cedevole, in
materie  che  rientrano  quanto  meno  nella  competenza  concorrente
dell'ordinamento della comunicazione e del governo del territorio.
    Nessuno  spazio e' lasciato alla competenza legislativa regionale
concorrente.
    Illegittimita'  degli  artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e
95,  dell'allegato 13 del d.lgs. n. 259/03 per lesione della sfera di
competenza  regolamentare  regionale  ai  sensi  dell'art. 117, sesto
comma Cost.
    4.1. - Le norme e gli allegati del decreto impugnato citati nella
rubrica  del  presente  motivo  configurano  l'esercizio da parte del
Governo  non  solo  di  una  potesta'  legislativa,  ma  anche di una
potesta'  normativa  diretta  alla  deroga  o  alla  modificazione  e
integrazione  di  tutti  i  regolamenti di esecuzione e di attuazione
della legislazione statale e regionale fin qui vigenti.
    Le  disposizioni  richiamate  si  pongono in contrasto con quanto
stabilito   dall'art.   117,   sesto  comma,  Cost.,  che  fissa  una
ripartizione  rigida  della  potesta'  regolamentare tra gli enti che
«costituiscono» la Repubblica.
    Allo Stato la potesta' regolamentare spetta solo nelle materie di
legislazione esclusiva statale; alle Regioni spetta, invece, «in ogni
altra  materia».  Poiche'  l'oggetto  della  disciplina  del  decreto
impugnato  e'  riconducibile  a materie elencate nell'art. 117, comma
terzo  e  quarto, Cost., e' altrettanto innegabile che la potesta' di
dettare norme a contenuto regolamentare, in tale ambito disciplinare,
deve essere riconosciuta solo alla Regione.
    4.2.  -  L'evidente illegittimita' costituzionale di queste norme
del  decreto  legislativo  impugnato non puo' essere superata neppure
sostenendo  che  allo Stato dovrebbe essere riconosciuto (in denegata
ipotesi)  un  potere  di  intervenire  con  norme  legislative per la
modifica,   l'integrazione  o  la  deroga  di  previgenti  discipline
regolamentari  (statali, regionali o locali) anche in materie diverse
da  quelle  di  legislazione  statale  esclusiva;  potere  che, nella
suddetta  denegata  ipotesi,  sarebbe  giustificabile  in  base  alla
considerazione  che  allo  Stato  sarebbe  comunque da riconoscere un
potere  generale  di dettare norme regolamentari in ambiti diversi da
quelli indicati nell'art. 117, secondo comma, Cost., a condizione che
tali   norme   risultassero   «cedevoli»   rispetto  alla  successiva
emanazione    di   regolamenti   regionali.   Infatti,   una   simile
ricostruzione  si  porrebbe  in  palese contrasto con la ripartizione
delle   competenze   regolamentari   stabilita   espressamente  nella
Costituzione;  ed  e' d'altronde evidente che, nel caso di specie, le
norme  del decreto legislativo impugnato si pongono come direttamente
sostitutive,  senza  alcun  margine  di  derogabilita',  delle  norme
regolamentari   previgenti,   escludendo   espressamente  la  propria
«cedevolezza»,  e  ledendo  cosi'  irrimediabilmente  le attribuzioni
costituzionali della Regione in tema di potesta' regolamentare.
    4.3.  La violazione dei principi e delle norme costituzionali ora
ricordati e' in particolare evidente nella previsione, da parte delle
norme  impugnate,  del  contenuto  dei  modelli da presentarsi per le
domande  di autorizzazione e per gli altri adempimenti amministrativi
connessi   con   l'installazione  di  esercizio  degli  impianti.  In
particolare  si  censurano  sotto  questo  profilo  le  norme  di cui
all'art.   86,   comma   8   (che   prevede  la  presentazione  delle
comunicazioni  da  parte degli operatori sulla base dei modelli A e B
dell'allegato  13);  all'art.  87, comma 3, (che egualmente rinvia al
modello  A  ed  agli  altri  modelli  dell'allegato 13 e che comunque
definisce,   in  tutti  i  suoi  commi,  in  termini  dettagliati,  i
procedimenti autorizzativi e le relative istanze); all'art. 88, comma
1,  (contenente  un  ulteriore  rinvio  all'allegato  13, e anch'esso
dettagliato  -  in  tutti i suoi commi - nel definire le modalita' di
realizzazione  delle  opere  civili  e degli scavi); all'art. 89 (che
rinvia  nel suo ultimo comma alle procedure di cui all'art. 88); agli
artt. 92, 93 e 94 (che precisano in dettaglio le modalita' di domande
per  acquisire  le servitu', art. 92, e definiscono i presupposti per
la relativa acquisizione); all'art. 95 (che definisce in dettaglio le
norme sulle interferenze).
    Le  norme  citate  e  l'allegato  13  al decreto che determina il
contenuto   dei   modelli  richiamati  dalle  stesse  norme,  integra
l'esercizio,  piu'  che  di  una potesta' legislativa, della potesta'
regolamentare, che lo Stato non puo' esercitare in materie diverse da
quelle   riservate  alla  sua  competenza  esclusiva  (cfr.  sentenza
n. 303/2003).
    Illegittimita'  degli  artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e
95 dell'allegato 13 del d.lgs. n. 259/2003 per lesione della sfera di
competenza  amministrativa  regionale ai sensi dell'art. 118, primo e
secondo comma, Cost.
    5.  - Le disposizioni impugnate hanno inoltre in vari casi natura
provvedimentale  e costituiscono quindi esercizio diretto di funzioni
amministrative   da   parte  dello  Stato  o  attribuiscono  funzioni
amministrative   ad   organi   dell'amministrazione   statale  ovvero
direttamente agli enti locali.
    In  proposito,  l'art. 118, primo comma, Cost. stabilisce che «le
funzioni  amministrative  sono  attribuite  ai  comuni salvo che, per
assicurarne  l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta'
metropolitane,   Regioni   e   Stato,  sulla  base  dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza».
    La  norma costituzionale non contiene un' attribuzione diretta di
funzioni  amministrative  ai diversi livelli territoriali di governo;
fissa,  semplicemente, criteri e principi per la ripartizione di tali
funzioni  da parte dell'ente che risulti, di volta in volta, titolare
di  una potesta' legislativa nella specifica materia. Di conseguenza,
l'art. 118, I comma, costituisce necessario parametro di legittimita'
costituzionale  di  ogni intervento normativo finalizzato ad allocare
funzioni amministrative.
    Tale   parametro  e'  individuato  nell'esigenza  che  sussistano
specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione, puntualmente
motivate  in  base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza, tali da giustificare nei singoli casi l'attrazione della
competenza ad un livello di governo superiore rispetto a quello «piu'
vicino»  al  cittadino. Di qui il necessario rigore nel valutare ogni
norma dalla quale consegua l'attribuzione delle competenze al livello
di governo «piu' lontano» dal cittadino, ossia al livello statale.
    Vi  e'  dunque un obbligo per il legislatore, particolarmente per
quello  statale,  di  accompagnare qualunque scelta di allocazione di
funzioni amministrative ad un livello diverso da quello comunale, con
una  analisi  ed  una verifica sostanziale dell'effettiva rispondenza
della  scelta  (pur sempre discrezionale) ai parametri indicati dalla
norma  costituzionale.  Cio'  implica  che  la  norma  che  alloca le
funzioni  dovra'  anche  enunciare  le circostanze e le finalita' che
rendono legittima la scelta effettuata.
    Si e' gia' ricordato come questa Corte nella sentenza 303/2003 ha
chiarito  che  l'avocazione  da  parte  dello  Stato  delle  funzioni
amministrative  in  materie  non  di competenza legislativa esclusiva
dello    stesso,   e'   giustificata   in   base   ai   principi   di
proporzionalita',   sussidiarieta'   e   adeguatezza   «solo   se  la
valutazione  dell'interesse  pubblico  sottostante  all'assunzione di
funzioni  regionali  da  parte  dello  Stato  sia  proporzionata, non
risulti  affetta  da  irragionevolezza  alla stregua di uno scrutinio
stretto  di  costituzionalita', e sia oggetto di un accordo stipulato
con  la  Regione interessata». Il «principio dell'intesa» costituisce
dunque  uno dei presupposti essenziali per l'esercizio da parte dello
Stato delle funzioni amministrative.
    Si  e'  aggiunto  che  «quando  si  intendano attrarre allo Stato
funzioni  amministrative  in  sussidiarieta', di regola il titolo del
legiferare  deve essere reso evidente in maniera esplicita perche' la
sussidiarieta'  deroga  al normale riparto delle competenze stabilito
dall'articolo 117 Cost.».
    5.2. - Anche ove questa Corte volesse ritenere che lo Stato possa
autoattribuirsi  funzioni  amministrative nella materia in oggetto (a
prescindere   dall'illegittimita'   del  riconoscimento  di  una  sua
potesta'  legislativa,  denunciata  sub-2), senza sottostare ad alcun
vincolo  formale  di  espressa  indicazione  dei  presupposti  che ne
motivano  la  scelta,  le  disposizioni  impugnate si devono comunque
ritenere  costituzionalmente  illegittime in quanto lesive dei limiti
sostanziali   che   l'art.   118,  primo  comma,  stabilisce  per  la
distribuzione delle competenze amministrative nell'ordinamento.
    Non sono infatti indicati, ne' altrimenti desumibili i motivi che
giustificano  l'allocazione  a  livello centrale anche delle funzioni
amministrative   che   risultino   relative   alla   loro   specifica
localizzazione  degli impianti di comunicazione sul territorio e alla
loro  concreta  realizzazione.  Tali funzioni, infatti, potrebbero (e
dovrebbero)   adeguatamente   essere   svolte  dalle  amministrazioni
preposte  alla  cura  degli  interessi  che  insistono sul territorio
regionale,  ovviamente  garantendo  il necessario coordinamento con i
competenti organi dello Stato.
    Tanto meno e' rispettato il principio dell'intesa con le Regioni.
    Anche  sotto  questi  profili  risulta  evidente la lesione della
sfera  di  autonomia  amministrativa della Regione, soprattutto nella
parte  in  cui  le  disposizioni  impugnate  limitano il potere della
Regione  nella  definizione delle procedure autorizzatorie attraverso
meccanismi   che  prevedono  una  compartecipazione  formalmente  non
paritaria  e  sostituiscono, con norme di rango legislativo, tutte le
procedure sin qui avviate.
    La  Regione  ricorrente  non nega pregiudizialmente l'esigenza di
prevedere  meccanismi  che  garantiscano, sia pure nell'ambito di una
compartecipazione   paritaria  di  tutti  gli  enti  interessati,  la
definizione  in tempi ragionevolmente certi del processo decisionale;
cio' che si contesta - e che risulta costituzionalmente illegittimo -
e'  che tale risultato sia raggiunto dal decreto impugnato attraverso
il  mero  riconoscimento al legislatore statale della possibilita' di
sostituire    direttamente    e    completamente   ogni   valutazione
discrezionale    della   Regione   nell'esercizio   dei   poteri   di
autorizzazione  in  materie  di  competenza  regionale  concorrente o
addirittura esclusiva.
    5.3.  -  Inoltre  la  disciplina  impugnata  viola l'articolo 118
Cost.,  secondo  comma,  nella misura in cui attribuisce direttamente
l'esercizio    di   funzioni   amministrative   agli   enti   locali,
disciplinando il relativo procedimento.
    L'articolo   118  esclude  che  lo  Stato  possa  in  materie  di
competenza  concorrente  e residuale attribuire direttamente funzioni
amministrative  agli  enti  locali,  in  quanto  tali funzioni devono
essere conferite con legge statale o regionale «secondo le rispettive
competenze».
    Pertanto   in   materie   di   competenza  residuale  o  comunque
concorrente  spetta  alle  Regioni  disciplinare  i  procedimenti  in
questione attribuendo agli enti locali le relative funzioni.
    5.4.  -  In particolare vengono qui in rilievo le disposizioni di
cui all'art. 87 che attribuisce agli enti locali, con il procedimento
specificamente   ivi   disciplinato,  il  compito  amministrativo  di
rilasciare l'autorizzazione degli impianti di comumcazione.
    La  norma  viola  l'articolo  118, secondo comma, Cost. in quanto
attribuisce  una funzione amministrativa direttamente all'ente locale
in   materia   di   governo  del  territorio,  di  ordinamento  della
comunicazione,  a  competenza  concorrente,  se  non  in  materia  di
urbanistica ed edilizia a competenza residuale.
    Analoga  violazione si ha al comma 8 dell'art. 87, che stabilisce
che gli operatori di reti radiomobili di comunicazione elettronica ad
uso  pubblico  provvedono  ad  inviare  ai  comuni  ed  ai competenti
ispettorati  territoriali  del  Ministero  la  descrizione di ciascun
impianto installato, sulla base dei modelli A e B dell'allegato 13 al
decreto  e  che i soggetti interessati alla realizzazione delle opere
di  cui agli artt. 88 e 89 trasmettono al Ministero copia dei modelli
C  e  D  dello  stesso  allegato  13  al  decreto,  prevedendo che il
Ministero  puo'  a  sua  volta delegare ad altro ente la tenuta degli
archivi telematici di tutte le comunicazioni trasmessegli, si pone in
contrasto con l'articolo 118, primo comma, Cost.
    Tale  disposizione  e'  illegittima anche perche' attribuisce, in
materie  a  competenza  concorrente  e  residuale,  ad organi statali
l'esercizio di funzioni amministrative senza il rispetto dei rigorosi
parametri  sopra  ricordati,  consistenti nella adeguata motivazione,
nella  previa  intesa  con  le  Regioni, nel rispetto dei principi di
proporzionalita', adeguatezza e sussidiarieta'.
    Anche  gli  articoli  88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e 95 del decreto
non   si   sottraggono  alla  stessa  censura  nella  misura  in  cui
attribuiscono direttamente funzioni amministrative agli enti locali e
riservano  ad  organi  statali  funzioni  amministrative in materie a
competenza concorrente e residuale.
    In  particolare  l'articolo  95 attribuisce ad un organo statale,
l'Ispettorato   del  Ministero  delle  comunicazioni,  il  potere  di
rilasciare  il  nulla  osta  sui progetti relativi alle condutture di
energia elettrica e alle tubazioni metalliche sotterrate, in materie,
quindi,  riconducibili  al  governo  del territorio e all'ordinamento
delle  comunicazioni  a  competenza legislativa concorrente, senza il
rispetto  dei  criteri  stabiliti dall'articolo 118 Cost., cosi' come
interpretati da questa Corte.
    Illegittimita'  dell'art.  93  del d.lgs. n. 259/2003 per lesione
della sfera di autonomia finanziaria regionale ai sensi dell'art. 119
Cost.
    6.  -  La  disposizione  impugnata, per la parte in cui limita in
modo puntuale - per gli operatori - gli oneri connessi alle attivita'
di  installazione,  scavo ed occupazione di suolo pubblico (art. 93),
e'  costituzionalmente illegittima anche per contrasto con l'art. 119
Cost.
    Infatti,   il  principio  dell'autonomia  finanziaria  (sotto  il
profilo  dell'autonomia  di spesa), unitamente alla norma secondo cui
«per  provvedere  a  scopi  diversi  dal normale esercizio delle loro
funzioni  lo  Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi
speciali   in   favore   di   determinati  comuni,  province,  citta'
metropolitane  e  regioni»,  implica  necessariamente  che  tutte  le
funzioni  amministrative  spettanti  alle Regioni e diverse da quelle
«ordinarie»    risultino    adeguatamente    finanziate    attraverso
l'attribuzione  diretta  ai  loro  bilanci di adeguate risorse, senza
vincoli sulle modalita' di spesa.
    Le  norme  impugnate  violano  altresi'  l'art. 119 Cost., per la
parte  in  cui  impongono  oneri  finanziari  a  carico  -  sia  pure
indirettamente  -  delle  Regioni.  Nella  realizzazione  delle opere
disciplinate  dal  decreto,  infatti,  e'  ammissibile  che vi sia un
interesse  dello  Stato  a  garantire  il conseguimento del risultato
finale  complessivo;  cio' che e' costituzionalmente inammissibile e'
la   limitazione  dell'autonomia  regionale  sulle  modalita'  e  gli
strumenti  per  la  realizzazione  in  concreto  degli  obiettivi  da
perseguire.